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IL PUNTO DI VISTA DI Massimo Leonetti, Urologo, Responsabile di Urodinamica e Neurourologia, UO di Urologia, Ospedale Pellegrini, ASL Napoli 1

Il punto di vista di

 

 

Voglio subito fare una premessa: non sono un tipo incline ai sentimentalismi o a cui piace indulgere con i ricordi. Però queste riflessioni hanno radici antiche e, perciò, profonde, radici che affondano in un passato nel quale la maturazione personale andava al passo con quella professionale.

Mi spiego meglio; quando si parla di Società Italiana di Urodinamica la mia mente non può fare a meno di correre alla mia prima tessera di socio, quella che ogni anno cambiava colore per intenderci, ed al primo congresso a cui partecipai. Per onestà devo dire che mi ci ritrovai quasi per caso al congresso di Sorrento nel 1982 e che poche altre volte in vita mia mi sono sentito così spaesato. La SIUD era molto giovane ed io pure, il congresso era affollatissimo e tutti mi apparivano molto sorridenti. Ricordo benissimo la confusione che regnava nella mia mente per l’essermi ritrovato a stringere la mano a strani tipi che facevano esperimenti sui gatti o a coloro che, dall’altra parte dell’oceano, proprio in quegli anni stavano scrivendo la storia di questa disciplina. A me, fresco di studi “canonici”, i loro discorsi apparivano quasi incomprensibili; la sensazione era quella di essere piombato in mezzo ai membri di una strana setta o, meglio ancora, in mezzo a degli extraterrestri.

Nel corso degli anni, poi, ho più volte riflettuto su questa faccenda degli extraterrestri e, caso strano, ho associato la cosa con una bellissima canzone che ebbe allora un gran successo: “Extraterrestre” di Eugenio Finardi. A chi non la ricordasse (e fosse come me un po’ fissato con la musica di quegli anni) la consiglio caldamente, nella sua versione originale, come uno degli esempi più belli del pop italiano. Bene, Finardi ci parla di un tipo che viveva in un abbaino e che si esercitava continuamente per sviluppare quel talento latente che è nascosto nelle pieghe della mente. Quando alcuni anni dopo misi le mani sul mio primo apparecchio di urodinamica (con tanti pennini e carta termica, per capirci) anche io fui esiliato, praticamente, in un abbaino ed ancora oggi lavoro in una stanzetta dove “si fanno strani esami”. L’extraterrestre ero io.

Con il passare degli anni, però, cresceva dentro di me lentamente la consapevolezza mista ad una dolce sicurezza che ciò che studiavamo e testavamo fosse l’unica via per ottenere risposte, risposte ai tanti quesiti irrisolti che la clinica ci poneva. E così nel mondo tutti si sforzavano di stabilire che se un flusso urinario massimo era inferiore a un certo valore era patologico, che se una pressione di chiusura dell’uretra non raggiungeva tanti cm/H2O la paziente doveva inevitabilmente essere operata e così via. Questo, ammettiamolo, non ci rese simpatici agli urologi “vecchio stampo” anche perché c’era sempre qualcuno di noi pronto a sbandierare, a supporto delle sue tesi, grafici incomprensibili per il resto dell’umanità. Furono anni di importanti prese di posizione nel mondo scientifico e, aiutati anche dall’inevitabile ricambio generazionale, vincemmo la nostra battaglia. I nostri capi erano meglio disposti ad ascoltare le nostre valutazioni, i colleghi cominciavano ad inviarci pazienti da studiare, fiduciosi di avere le risposte che si aspettavano.

Sono davvero convinto che il grande pregio della SIUD e di tutti gli “extraterrestri” che ne facevano parte sia stato quello di non fermarsi alle certezze.

 

Ma dopo un po’ di tempo la sua sicurezza comincia a dare segni di incertezza, si sente crescere dentro l’amarezza. Perché adesso che il suo scopo è stato realizzato si sente ancora vuoto…

 

Rimettere in discussione tutto ciò su cui abbiamo lavorato ed in cui abbiamo creduto? I concetti rigidi, i numeri secchi sembravano non avere più il significato che avevamo voluto dargli . Le metodiche ed i parametri introdotti più recentemente (ad esempio la V.L.P.P., la C.L.P.P. o la A.L.P.P.) stentavano a trovare una rapida validazione.

Ho il ricordo vivissimo di discussioni accesissime fra persone qualificatissime circa, ad esempio, l’utilizzo degli alfa-bloccanti nella donna. Quelle tesi che allora sembravano inoppugnabili dove sono finite ora? Si faceva strada il concetto di “interpretazione” dell’esame urodinamico al di là della rigidità dei numeri. A mio avviso la svolta epocale c’è stata quando è stato reintrodotto il concetto di “urologia funzionale”. Di fatto il termine sottintende la comprensione dei “comportamenti” dell’apparato urinario, comportamenti che, come tali, vanno, prima di tutto, interpretati con adeguata flessibilità mentale. Questo ci ha subito posto in difficoltà nei confronti di coloro che ci affidavano i pazienti in attesa di risposte che non sempre eravamo in grado di dargli. Certo le standardizzazioni, le buone pratiche, l’utilizzo di un linguaggio comune ci stanno dando una mano, ma ammetto che oggi, nella mia attività quotidiana, gran parte dell’impegno sta nel far comprendere agli altri quali risposte posso e quali non posso dargli. Non è facile, potete immaginarlo, ma so di non essere il solo ad avere di questi problemi, so di avere buoni amici con cui discutere. E così, mentalmente, mi accarezzo le mie tesserine SIUD colorate, ripenso a cosa avrebbero detto o fatto i padri dell’urodinamica italiana e lascio stare in pace l’extraterrestre di Finardi.

 

Già, perché ho eletto a mio motto di vita il titolo di un pezzo di Bennato:
“Abbi Dubbi”.