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IL PUNTO DI VISTA DI Aldo Tosto, Urologo, Responsabile Urodinamica, SOD Urologia, Azienda Ospedaliera Università Careggi, Firenze

Il punto di vista di

 

 

Pensando a questo articolo da scrivere, sul tema suggeritomi (sempre assai intrigante, caro Direttore…), il pensiero mi è andato alle parole e alla musica di una famosa canzone di Ivano Fossati scritta per Fiorella Mannoia perché in qualche modo applicabili anche a quello di cui vado scrivendo: mi era stato chiesto, infatti, di scrivere qualcosa sui “luoghi comuni” che affliggono un po’ tutti, anche in una società “evoluta” o “avanzata” quale viene considerata la nostra e nella quale, tuttavia, lo spazio dedicato alla cultura è sempre minore.

In effetti, la professione sanitaria –in generale- è molto gravata da “luoghi comuni” sui diversi aspetti che la compongono e questi spesso diventano la chiave di lettura estemporanea dei fatti anche perché “amplificati” da una puntuale pressione mediatica (ahinoi, purtroppo spesso anche a ragione…).
Ma senza andare in criminologia, perché non mi compete , la “demolizione” di un “luogo comune” può essere un esercizio interessante ed allora mi proverò a sfatarne uno che riguarda il nostro specifico e dal quale mi sento più “toccato” , proprio perché insiste sul mio vissuto professionale quotidiano e che ha origini diverse alle quali bisogna risalire per cercare di ottenere un risultato: mi riferisco a frasi come “l’urodinamica non serve a nulla…” utilizzate , ad esempio, nella programmazione sanitaria per coprire disattenzioni, menefreghismo o “conflitti” d’interesse.

Qualche tempo fa, per entrare nel merito, un dirigente amministrativo della mia Azienda, di fronte alla richiesta di notizie circa una pratica che avevo avviato molti anni prima per il rinnovo dei macchinari di servizio e che era avvolta da un silenzio (colpevole) nonostante le sollecitazioni, di fronte alla flagranza di un seppellimento sotto piloni di altre pratiche, sbottò serenamente in un sorriso, chiosando “ma l’urodinamica non salva mica la vita della gente…”. Di fronte a certi “comportamenti” le reazioni possono essere diverse, a secondo della propria educazione o del tono dell’umore e in quel momento, io me la cavai in maniera istintiva, augurandogli “solo” di non aver mai bisogno di noi, ma dentro profondamente “disturbato” e deciso ad andare a fondo sul comportamento della persona, ovvero per l’uso, assolutamente gratuito, di un luogo comune, francamente inappropriato ancorchè originale, per sostenere che ci sono cose più importanti a cui pensare (e su questo potremmo essere d’accordo…) ma non per giustificare una banale e colpevole inadempienza.

Dunque, “sfatare” i luoghi comuni, soprattutto quando ci si rende conto di un loro uso improprio, probabilmente non cambia il corso della storia , ma almeno dovrebbe avere un valore informativo (o educativo).
Se si va a cercare, come ho fatto, l’origine ed il significato di “luogo comune”, si scoprirà che, all’inizio, questa espressione definiva un “principio da cui si può trarre argomentazioni o sillogismi dialettici che finiscono in definizioni comunemente accettate o rese particolarmente valide dall’autorevolezza di chi le ha pronunciate” (fonte:Vocabolario Treccani). In altre parole, l’uso di un “luogo comune” consentiva una certa “tranquillità” a chi lo adoperava per affrontare un qualsivoglia argomento. Nell’uso corrente, ahinoi, il “luogo comune” ha modificato estensione e valenza, quindi pertinenza, finendo con il far assumere come “verità assoluta” anche “l’abuso” e ciò a proposito di qualcosa di cui probabilmente non si ha nemmeno la più pallida idea. Questo genere di abuso è reso più grave dall’effetto (che forse era già nello scopo…) “denigratorio” sulle persone e sulle cose alle quali viene applicato: ecco, allora, perchè un’espressione come “non serve a nulla”, riferito al nostro campo di interesse, può essere considerato un “abuso”, intanto perché, nella migliore delle ipotesi, è frutto di presuntuosa ignoranza o cialtronaggine intellettuale e poi perché è utilizzata (abusandone) a danno di qualcosa di cui non si sa nulla e, magari, solo per averlo sentito “da qualche altro” la cui “autorevolezza” resta sempre da dimostrare…

Da un po’ di tempo dunque, chi pratica questa attività con passione ed orgoglio ha particolare attenzione all’uso delle parole cercando di non dire cose che non può e non deve dire, nella speranza di migliorare la conoscenza, nostra prima che degli altri, e l’apprezzamento di chi si rivolge al nostro lavoro rimuovendo all’origine, il pretesto per l’uso del luogo comune. Solo da una scrupolosa attenzione all’uso delle parole (i nostri referti) e limitandoci alla definizione dei segni clinici che la semeiotica strumentale può chiarire meglio (l’Urodinamica è una semeiotica “assistita” da strumenti di misura e proprio per questo necessita della dovuta cautela nell’interpretazione dei “numeri”) possiamo sperare di riuscire almeno a contribuire alla migliore soluzione dei problemi disfunzionali della minzione, nient’altro, il resto verrà dopo.

Quindi, con la necessaria umiltà che i limiti della conoscenza impongono, cerchiamo di essere “consci” di poter disporre di uno strumento che ci consenta questo approccio piuttosto che ricorrere all’empirismo ancora oggi assai spesso applicato in Urologia funzionale e non solo. E in questo senso, poi, che saremo sempre disposti “a dire un altro si” alle richieste di chi ha “bisogno” di lumi su casi non risolti o complicati e senza alcun risentimento se –in precedenza- questo approccio non era stato preso in considerazione o non ci è stata data l’opportunità di esprimere il nostro parere.

Qualcuno ha paragonato certe mie battaglie a quelle di Don Chisciotte, ovvero destinate a sconfitte sicure, ma io rimango profondamente convinto che i luoghi comuni possono essere demoliti o resi desueti dai comportamenti lineari di chi ne è stato vittima e questo ha tanto più valore (per chi è in grado di apprezzarlo…) proprio in questi nostri giorni sempre più caratterizzati dal trionfo dell’apparenza sulla sostanza delle cose, un tempo in cui la “beltà essenziale” –cosa ben diversa da quella “formale”- non sempre “risplende” della luce che merita.

AT, 1.marzo.2012