IL PUNTO DI VISTA DI Salvatore Campo, Responsabile Nazionale dell’area urologica della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG), Balestrate (PA)
L’incontinenza urinaria, nella sua accezione scientifica, ha dei profili in parte definiti e in parte in evoluzione, coerentemente al divenire dei saperi, perché spesso multifattoriale e derivata sia da cause note sia da cause non verificabili.
La peculiarità del sintomo, con le inferenze di ordine fisico e soprattutto psico-relazionale, comporta la necessità da una parte di conoscerne i determinismi, la diagnosi e le terapie, d’altra parte di comprendere le dinamiche comportamentali, individuali e di sistema, che possono influenzare la soluzione o attenuazione di un bisogno di salute del cittadino.
Nello studio del medico di medicina generale (MMG), la codifica del problema incontinenza urinaria avviene spesso dopo tipologie di colloqui in cui il paziente, in maniera variegata, tira fuori dal suo vissuto il problema, porgendolo al medico quasi con la rassegnazione di chi è certo di trovare solamente un atteggiamento compassionevole e, contestualmente, sentendosi liberato dalla rivelazione di uno stato, transitato da una lunga e negativa elaborazione. Spesso il paziente teme di rappresentare il problema al medico perché ritiene che non sia importante e che non abbia una valenza sanitaria tale da meritare l’attenzione del medico.
La comprensione di tale narrazione riconosce alcuni determinanti, radicati in convincimenti che sembrano più appartenere alla medicina popolare, e quindi non codificati scientificamente ma tramandati a voce da una staffetta intergenerazionale, che ad una visione adeguata alle attuali conoscenze, e riassumibili in:
a. La donna in post-menopausa sa che la parità, la menopausa, giogo ineludibile dell’invecchiamento, e il progredire dell’età sono componenti che rendono quasi normale la presenza dell’incontinenza. Nella sua normalità, il problema deve essere accettato e semmai si possono mettere in atto strategie di camuffamento più che del disagio fisico di quello psichico, mediato dalla percezione di condizioni di frustrazione, di indebolimento dell’autostima, d’inadeguatezza relazionale e di vergogna.
b. Il maschio adulto sa che l’incontinenza è un problema dei bambini, dei vecchi o delle donne; pertanto, la presentazione del sintomo, al di fuori di quelle condizioni, viene percepito come anormale, determinando uno stato di allerta che, generalmente, esita in un pronto riferimento al medico di fiducia.
I giovani adulti vivono il problema come fortemente invalidante ed imbarazzante, per le inferenze igieniche e per le limitazioni relazionali che finiscono per far degradare il livello della qualità di vita. La limitazione di attività lavorative e ludiche, i limiti imposti all’abbigliamento, il dover prevedere cambi extra di biancheria finiscono per gravare pesantemente e comportare conseguenze psicologiche, lavorative e sociali.
Tali determinanti, forzatamente riduttivi, sono spesso alla base della fenomenologia corrente:
• La donna giovane vive con naturale maggiore conflittualità il problema e generalmente non esita a riferirlo al medico.
• La donna in post menopausa, relativamente giovane e con forte motivazione, passa da una più lunga elaborazione del problema prima trovare il coraggio di portarlo al medico.
• La donna in post menopausa, più avanzata negli anni, passa pure da una lunga elaborazione prima di riferire il problema al medico, spesso per riceverne il sostegno sanitario per l’ottenimento dei presidi, e sovente con un rifiuto preconcetto di ogni tentativo di diagnosi e di prospettiva terapeutica. La lenta progressività della condizione spesso supporta il concetto di normalità del sintomo, nei confronti del quale il paziente si assuefa e finisce per non dargli un’eccessiva importanza. La presenza di gravi deficit fisici e psichici, di allettamento continuativo e di non autosufficienza motivano la denuncia del problema quasi esclusivamente per l’ottenimento del pannolone.
• Il maschio adulto, non anziano, si allerta alla rilevazione del problema con un riferimento pronto al medico.
• Il maschio adulto, anziano, collega spesso il sintomo, in maniera più o meno appropriata, a qualche menomazione o malattia associata; il disagio e la maggiore difficoltà del camuffamento del sintomo lo inducono alla ricerca di possibili rimedi.
• Per Il maschio adulto, in età avanzata, valgono le stesse considerazioni per la donna in età avanzata, ancor più se non autosufficiente.
Non si vuole sostenere tesi basate su modelli sociali andati e si è consapevoli degli avanzamenti nella percezione collettiva e individuale del modello sociale tendenziale per entrambi i generi; ma, non si può ignorare che il problema incontinenza urinaria riconosce delle barriere culturali (Sia nel cittadino-paziente che nel sistema sanitario) prima ancora che difficoltà nel management clinico-diagnostico e terapeutico.
Altre criticità riguardano la gestione clinica dell’incontinenza da parte del MMG. La comunicazione non sempre consente di comprendere il peso del sintomo sulla qualità di vita e di individuare il tipo di risposta assistenziale più utile. Nei confronti della presentazione del sintomo, il MMG può sentirsi disorientato in merito al corretto inquadramento diagnostico e talvolta si sente solo. Infatti, mentre per l’incontinenza femminile il territorio offre l’opportunità di specialisti o di centri di riferimento, per quella maschile i riferimenti specialistici sono più diradati, con difficoltà che portano spesso all’accettazione per fede del sintomo, non consentendo una diagnosi eziologia e di andare oltre rispetto all’offerta dei pads. Inoltre, l’inserimento dei farmaci per l’incontinenza urinaria in fascia prescrittivi C non semplifica il processo terapeutico.
Né d’altra parte le cose vanno meglio sul versante dell’accertamento dell’invalidità ai fini della concessione dei presidi da parte del SSN; la certificazione a supporto viene effettuata per il riferito del paziente e la verifica dell’invalidità, per lo più, avviene con il colloquio o con il certificato, senza la ricerca delle cause sottostanti. Ne conseguono due fenomenologie:
• non conosciamo l’eziologia e non siamo in condizione di prospettare soluzioni terapeutiche utili;
• la certificazione per fede dell’invalidità comporta una possibile iper-espressione diagnostica con spontaneo indirizzo preferenziale verso l’uso di pads, con inappropriatezza del management sanitario e con dispendio di risorse.
Il Medico di Famiglia deve:
• Saper ascoltare.
• Saper comunicare ed imparare a riconoscere e a decodificare la richiesta d’aiuto del paziente, superando la loro reticenza e facendo emergere il problema. Poche e semplici domande possono essere utili allo scopo (tabella 1).
• Conoscere le possibili cause che sottendono il sintomo e i possibili rimedi terapeutici.
• Conoscere le strutture territoriali e saper attivare la consulenza specialistica per una gestione condivisa del problema del paziente e per valutare, assieme al paziente e alle figure specialistiche di riferimento, i possibili percorsi per attenuare o risolvere uno stato che invalida la qualità di vita.
Tabella 1
Negli ultimi tre mesi ha avuto perdite d’urina involontarie spontanee, compiendo sforzi anche piccoli, o tossendo, o starnutendo o anche solo ridendo?
In genere va ad urinare più di otto volte durante il giorno, oppure le capita di alzarsi più di una volta per notte, per paura di bagnarsi?
Le succede di avere un urgente, improvviso ed irrefrenabile desiderio di urinare?
Il sistema socio-assistenziale deve:
• Riconoscere il problema incontinenza attribuendogli peculiare dignità nosologica.
• Pianificare una rete di strutture specialistiche di riferimento.
• Quando è possibile e conveniente per il benessere del paziente, passando da una corretta diagnostica, prediligere interventi che abbiano significato terapeutico piuttosto che offrire presidi sanitari a lenimento dell’handcap.
Bibliografia
1. Parazzani F, Cipriani S, De’ Besi P, Lavezzari M, Artibani W. Incontinenza urinaria: frequenza ed approccio diagnostico e terapeutico nella pratica di Medicina Generale in Italia. Arch Ital Urol Androl 2001;73:160-7.
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