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IL PUNTO DI VISTA DI Enrico Finazzi Agro’, Urologo, Professore Associato, Cattedra di Urologia, Università Tor Vergata, Roma

Il punto di vista di

 

 

Quando nel 1998 incontrai Marshall Stoller, durante un congresso a Taormina, ero ancora specializzando. Mi colpirono la grande cordialità e una certa stravaganza di questo personaggio venuto dagli Stati Uniti a presentare una sua metodica di elettrostimolazione (definita Stoller Afferent Nerve Stimulation, SANS), che sembrava poter trattare la sindrome della vescica iperattiva (anche se, all’epoca, non la chiamavamo così…). Trovai interessante, per me che non lavoravo in un centro dove si effettuasse la neuromodulazione sacrale, la facilità di esecuzione (ambulatoriale) di questa metodica e la mini-invasività della stessa, che consentiva, ai miei occhi di neofita attento soprattutto a non fare “danni”, di garantire il principio del “primum non nocere”.

Non nascondo che ero un po’ scettico sulla possibilità di ottenere effetti sul basso apparato urinario, mettendo un ago in un punto un po’ al di sopra della caviglia: tuttavia la cosa mi incuriosiva. Ignoravo, all’epoca, che quindici anni prima di me anche McGuire si sorprese dell’effetto di un’elettrostimolazione trans-dermica del nervo tibiale e definì “astonishing” (sbalorditivi) i risultati ottenuti in pazienti con iperattività detrusoriale neurogena. Provai la stessa sorpresa anche io, quando, un po’ più di un anno dopo, cominciai a trattare alcuni pazienti con questo tipo di neuromodulazione: gli effetti c’erano in molti casi ed erano significativi, tra l’altro in pazienti difficili. Cominciammo a trattare, infatti, pazienti con vescica iperattiva non responsivi ai farmaci antimuscarinici e, sulla scorta di quanto vedevamo fare con la neuromodulazione sacrale, anche pazienti con ritenzione urinaria non ostruttiva. Ricordo la piacevole sensazione che mi diede (ormai neospecialista) la gratitudine di una paziente che, dopo intervento di chirurgia radicale pelvica eseguito un paio di anni prima, riprese ad urinare e, addirittura, interruppe i cateterismi intermittenti.

Ancora inebriato da tali sorprese, fui felice di presentare, ai congressi della Società Italiana di Urodinamica, i nostri risultati: non nascondo che provai una punta di delusione (e di sorpresa, stavolta negativa) nel registrare un certo scetticismo e qualche critica ai lavori presentati. Con l’esperienza, ho imparato che le critiche sono comprensibili e lo scetticismo normale, di fronte a nuove terapie: all’epoca però ci rimasi un po’ male. Rimasi male anche quando un gruppo di stimabilissimi neurologi mi volle insegnare, sbagliando, che il nervo tibiale posteriore non contiene fibre provenienti dal terzo nervo sacrale: eppure basta leggere un libro di neuroanatomia… Ma andò anche peggio quando mi resi conto che Stoller non aveva mai pubblicato su rivista la sua esperienza e che l’azienda che produceva il device per la stimolazione tibiale era fallita: fine dei giochi?

 

Quando tutto sembrava perduto, con rinnovata sorpresa, seppi che una diversa azienda americana aveva iniziato a commercializzare un device per la stimolazione tibiale ed ebbi la fortuna, durante un soggiorno in Olanda, di conoscere dei colleghi (fra cui vorrei citare Bart Bemelmans e John Heesakkers) interessati alla stimolazione tibiale. Incominciammo a collaborare, mettendo insieme i dati dei pazienti trattati a Roma e a Njimegen, e pubblicammo ben quattro lavori, che, insieme a pochi altri studi contemporanei, ebbero la forza di imporre questo trattamento (che cominciammo a chiamare “Percutaneous tibial nerve stimulation” o PTNS) all’attenzione della comunità scientifica internazionale. Buttammo giù altri progetti: fra l’altro dovetti anche sobbarcarmi alcuni viaggi a Njimegen, che non ha proprio lo stesso fascino di Parigi! Il migliore ristorante, italiano, si chiama Pinoccio (sic!), immaginate il resto…

Poi, anche stavolta, qualcosa andò storto. Bart si trasferì in altra sede e, per vari motivi, perse interesse all’argomento e l’azienda non supportò in alcun modo i nostri progetti. Tale scelta si rivelò miope poiché, ovviamente, i servizi sanitari nazionali e le compagnie assicurative hanno bisogno di evidenze scientifiche solide per poter pensare di rimborsare nuove terapie. La PTNS, poi, si colloca in una terra di nessuno: in molti paesi non è considerata una tecnica “riabilitativa” e non può essere eseguita dal fisioterapista; d’altra parte, non è una tecnica chirurgica e il rimborso per prestazione ambulatoriale, in molte nazioni (fra cui la nostra), è insufficiente. Tali motivi hanno certamente rallentato l’affermazione della tecnica ed il suo ingresso nel bagaglio terapeutico dell’urologo funzionale.

In questo contesto, ebbi l’idea di portare avanti un progetto iniziato con il gruppo olandese: uno studio placebo-controllato. La metodica di “sham” (di stimolazione inefficace, cioè) fu frutto di intensi dibattiti italo-olandesi, ma ci sembrò la migliore possibile: non avevamo ancora potuto leggere il lavoro di Peters (che, nel 2009, descrisse una raffinata tecnica di “placebo”) e ci arrangiammo con quanto a disposizione e con un po’ di buona volontà. Non posso negare che il successivo supporto di una nuova azienda, che avrebbe poi commercializzato il device, ci abbia consentito di raccogliere le forze necessarie a completare il lavoro: lavoro finalmente pubblicato sul Journal of Urology nel 2010. Nel frattempo, con mia sorpresa (spiacevole…), eravamo stati superati da Peters, che riuscì a pubblicare pochi mesi prima di noi il suo studio placebo controllato.

 

Grazie soprattutto a questi lavori, le neonate linee guida dell’European Association of Urology (EAU) sull’incontinenza urinaria e le nuove raccomandazioni dell’International Consultation on Incontinence (ICI), entrambe recentemente presentate al congresso EAU di Parigi (febbraio 2012) hanno, per la prima volta, incluso la PTNS fra le metodiche raccomandate per il trattamento dell’incontinenza urinaria da urgenza. Al momento tale tecnica è raccomandata nella donna: quasi tutti gli studi, infatti, sono stai eseguiti prevalentemente in soggetti di sesso femminile. Un certo stupore mi è stato causato dall’affermazione, contenuta nelle linee guida EAU, secondo la quale non ci sono dati dell’efficacia della PTNS su donne non responsive agli antimuscarinici: molti lavori (non quelli di Peters, per la verità, ma certamente i nostri) comprendevano esclusivamente donne non responsive agli antimuscarinici… Sorprese, sempre sorprese!

Che cosa si può prevedere per il futuro?
Ci si può attendere che, sulla scorta delle risultanze delle linee guida EAU, la PTNS possa essere maggiormente utilizzata anche in Europa, come già avviene negli USA. Certamente, l’utilizzo di tale metodica non può più considerarsi sperimentale. Tuttavia vi è ancora molto da fare in ambito di ricerca. Più di così non vorrei sbilanciarmi: come avrete potuto capire, la storia dell’elettrostimolazione del nervo tibiale posteriore è una storia piena di sorprese ed eventi inaspettati.
Che cosa c’è dietro l’angolo? Magari una nuova tecnologia? Chi vivrà, vedrà…