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Enterocistoplastica di ampliamento in paziente con tetraplegia: una scelta funzionale?

Caso clinico proposto da Alberto Manassero

Casi Clinici

 

 

Paziente di sesso maschile, di anni 30.

Nel 1999 riportava una lesione midollare traumatica C5 cui conseguiva una tetraplegia definita incompleta (ASIA B) con assai limitata autonomia. Per quanto inerente la disfunzione vescico-sfinterica il paziente presentava iperattività detrusoriale a basso volume di riempimento (50-60 ml) e medie pressioni (60-70 cmH2O) in presenza di dissinergia sfinterica di I/II tipo. Lo studio morfologico e funzionale a carico dell’alto apparato urinario (uro-TC e scintigrafia renale) dimostrava solo una condizione di lieve stasi responsiva al wash-out con diuretico. Erano presenti anche lievi segni/sintomi di disreflessia autonoma in forma soprattutto di sensazione di malessere generale.

Veniva effettuato un preliminare tentativo terapeutico con farmaci antimuscarinici associando la manovra del CI (eseguito dal paziente in autonomia solo nella parte inerente l’introduzione del catetere, con supporto di specifico ausilio; per il resto invece viene coadiuvato da care-giver). La scelta di ricercare la ritenzione urinaria era in gran misura sostenuta dall’espressa volontà del paziente.
Poiché la terapia proposta non consentiva un controllo adeguato della continenza urinaria venivano eseguiti 3 infiltrazioni intra-detrusoriali di tossina botulinica di tipo A ancora senza ottenere un adeguato controllo della disfunzione (confermata alla video-urodinamica la persistenza di iperattività detrusoriale).

In altra sede eseguiva, a distanza di 1 anno, una nuova valutazione video-urodinamica che dimostrava iperattività detrusoriale (100 ml 80 cmH2O con fuga d’urina). Veniva quindi proposto ed effettuato un intervento di enterocistoplastica di ampliamento (tipo clam).
La procedura tuttavia non garantiva il raggiungimento di una continenza adeguata nonostante l’elevato numero di cateterismi eseguiti (6 al giorno) benché non fosse del tutto chiaro la modalità con cui questa si manifestasse: talora il paziente si accorgeva delle contrazioni del neoserbatoio avvertendo una sorta di urgenza con conseguente perdita d’urina, talaltra (soprattutto quando non assumeva terapia alfa-litica) pur avvertendo le contrazioni non perdeva urina (effetto favorito dall’alfa-litico?) accentuandosi però l’intensità delle crisi di disreflessia autonoma.

Il paziente giunge alla nostra osservazione: la valutazione video-urodinamica dimostra la presenza di iperattività del neoserbatoio con dissinergia durante la contrazione riflessa di II tipo; la dissinergia appare di grado minore ( di I tipo) in rapporto allo svuotamento indotto da percussione sovra-pubica, in presenza di importante disreflessia autonoma; svuotamento vescicale incompleto.
Veniva ripetuta l’infiltrazione di tossina botulinica sia nella componente detrusoriale che in quella ileale ma con scarsi risultati sia sul piano clinico (persistenza delle fughe e della disreflessia) che sul quello strumentale (persistenza dell’iperattività del neoserbatoio).

Il paziente esprimeva, non in maniera perentoria, il desiderio di una scelta volta alla ritenzione urinaria benché fossero evidenti le difficoltà di gestione con il CI essendo difatto del tutto dipendente da un caregiver.

Per quale delle seguenti proposte saresti più favorevole?
1)  wash-out dalla terapia antimuscarinica (che non è mai stata sospesa) ed effettuazione di un bilancio minzionale per valutare la possibilità di uno svuotamento, spontaneo/indotto da manovre trigger, del neoserbatoio favorendo una gestione con urinal kondom libera se possibile dal CI (eventuale sfinterotomia);
2)  chirurgia maggiore di tipo derivativo (derivazione urinaria esterna non continente)
3)  ri-confezionamento dell’enterocistoplastica
4)  derivazione urinaria esterna continente (Mitrofanoff)
5)  rizotomia sacrale posteriore

 

Alberto Manassero

SC Neuro-Urologia

AO Città della Salute e della Scienza di Torino

Presidio CTO Unità Spinale Unipolare

30 Gennaio 2017