Tel. 0523.315144
segreteria@siud.it
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

IL PUNTO DI VISTA DI Maurizio Serati, ginecologo, Ricercatore Universitario, Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese

Il punto di vista di

 

 

Da ginecologo, trovarmi a descrivere cosa rappresenti dal mio punto di vista l’uroginecologia mi riporta inevitabilmente alla memoria il primo momento in cui mi sono dovuto confrontare con questa branca. Presentandomi da neolaureato a colui che sarebbe poi stato per tanti anni il mio direttore e maestro, alla domanda “Hai già un’idea di cosa preferiresti approfondire in particolare?”, la mia risposta è stata semplice: “So solo di cosa preferirei non occuparmi in modo troppo approfondito: l’uroginecologia”. Inutile dire che ovviamente sono stato messo a seguire sin dal primo anno di specialità, oltre all’endoscopia e alla patologia ginecologica benigna, proprio l’ambulatorio di uroginecologia. La mia iniziale risposta era motivata dalla falsa convinzione che l’uroginecologia si limitasse alla gestione dell’incontinenza e che l’incontinenza fosse qualcosa di cui si sarebbero dovuti occupare gli urologi e non i ginecologi. Fortunatamente sono bastate poche settimane a contatto con le donne che afferivano all’ambulatorio di uroginecologia per accorgermi di quanto ben più estesa, complessa, interessante e gratificante fosse l’uroginecologia.

 

Sicuramente ogni urologo sostiene la centralità del proprio ruolo in quest’ambito, in nome di una innegabile maggior completezza nella conoscenza dei meccanismi pelviperineali di entrambi i sessi. Ma chi più del ginecologo, il medico della donna, può capire e affrontare con passione e competenza una sfera di disturbi così invalidanti per la donna? Per natura e per definizione, il ginecologo non deve e non può più occuparsi solo di salvaguardare la sopravvivenza della donna, ma deve garantire alla donna anche un’adeguata qualità di vita. Ciò è vero in ambito ostetrico, nel quale la donna di certo non si accontenta più della sopravvivenza sua e di suo figlio al parto, ma dà per scontato che la sua qualità di vita non verrà danneggiata dalle sue vicende ostetriche. Questa attenzione alla qualità di vita investe sempre di più la sfera genitale femminile da un punto di vista di sessualità, di approccio alla menopausa e ovviamente di prevenzione o cura del prolasso e dell’incontinenza urinaria e fecale. Per questo, e non solo, il ginecologo può rivendicare un ruolo centrale nell’uroginecologia, in qualità di garante del benessere della donna.

 

Il punto di vista del ginecologo nel management delle disfunzioni del pavimento pelvico ha la peculiarità di prevedere un approccio elettivamente vaginale, quella che per tutti noi è la via d’elezione per la diagnosi e la terapia della quasi totalità delle patologie che ci troviamo a gestire. Quanto poco mi ha creato imbarazzo l’introduzione per esempio di una modalità di misurazione del prolasso apparentemente complessa come il POP-Q! Nulla di problematico per chi passa la propria giornata (o nottata) di lavoro in ambulatorio, in sala operatoria, in sala parto, ma sempre e comunque con gli occhi a pochi centimetri dai genitali femminili. Innegabilmente questa consuetudine indirizza anche il mio e il nostro approccio chirurgico a tutto ciò che è prolasso e incontinenza, e in prima battuta ben poche situazioni ai nostri occhi non sono risolvibili seguendo la via vaginale. Certo, l’introduzione e la successiva ubiquitaria diffusione della laparoscopia hanno cambiato e migliorato la vita anche a noi ginecologi, ma ancora oggi la nostra prima scelta chirurgica resta nella maggior parte dei casi quella dell’approccio vaginale.

 

Un aspetto particolare del mio punto di vista sull’uroginecologia riguarda la tematica delle disfunzioni sessuali femminili. Qui sicuramente l’urologo ha un punto di vista privilegiato rispetto a noi ginecologi: l’urologo, infatti, ha la possibilità di poter inquadrare le disfunzioni sessuali di entrambi i partner, sia singolarmente, sia considerati come unica entità. Ma quante donne per riferire un proprio disturbo della sfera sessuale si rivolgono in prima istanza a un urologo?

In ormai 15 anni di professione, mi sono accorto che la donna vede nel proprio ginecologo non un semplice medico ma una persona cui riferire i propri disturbi più intimi vincendo il naturale imbarazzo. Insomma, qualcuno che deve prendersi cura del suo benessere anche sessuale. Perciò fin dal 2005 ho scelto di occuparmi con particolare attenzione delle disfunzioni sessuali femminili e da allora una fetta importante della mia attività di ricerca si è focalizzata su questo topic. Mi ha sorpreso profondamente riuscire a raccogliere, in meno di 2 anni, circa 150 donne che abbiano accettato di parlare della loro incontinenza urinaria durante i rapporti, vincendo i timori, le ritrosie, l’imbarazzo e anche l’idea di trovarsi di fronte ad ascoltarle un “giovanotto” (come mi ha definito benevolmente una di quelle pazienti).

Ormai quasi 25 anni fa, in una sua splendida pubblicazione, Bachmann GA, un ginecologo canadese ha dimostrato come solo il 3% delle donne in età fertile, che andavano da lui per una semplice visita di controllo, riferivano disturbi della sessualità. Una volta interrogate sull’argomento, però, la percentuale di donne che lamentavano sintomi relativi alla sfera sessuale saliva al 20%. E la cosa più interessante era che nessuna delle 887 donne intervistate ha provato disturbo o fastidio per le domande. Anzi, più della metà ha dichiarato di ritenere un preciso dovere del ginecologo prendersi cura anche di quell’aspetto della loro vita.
Infine, l’essere ginecologo che si avvicina alle disfunzioni pelviperinali offre una grandissima opportunità e anche possibilità di gratificazione attraverso la prevenzione. È ormai universalmente dimostrato che i fattori di rischio determinanti nell’insorgenza di molte disfunzioni pelviche (prolasso, incontinenza urinaria e fecale, dispareunia) sono quelli relativi alla storia ostetrica della donna. E quale occasione migliore per fare prevenzione per un ginecologo? Quando lavoro in sala parto, mi dà ulteriore stimolo e passione per il mio lavoro pensare che potrò garantire una vita migliore alla donna se riuscirò a evitare, durante il travaglio e il parto, tutto ciò che settimane, mesi, anni o decenni dopo potrebbe portarla a essere incontinente o affetta da altre disfunzioni pelviche. Sembra paradossale, ma è proprio il ginecologo nella sua veste di ostetrico che può fare più di chiunque altro per evitare che in futuro ci sia bisogno di lui nella sua veste di uroginecologo.

 

Quanto ho affermato finora vuole sottolineare come il punto di vista del ginecologo sia una ricchezza preziosa, da valorizzare nell’approccio multidisciplinare all’uroginecologia. Ma come ogni altro professionista, il ginecologo deve essere capace soprattutto di imparare dagli altri professionisti che si occupano di pavimento pelvico (urologi, fisiatri, fisioterapisti, neurologi, ostetriche, infermieri…) e di collaborare con loro, con umiltà e apertura mentale.

 

La conclusione è che, forse, non dovrebbe esistere il punto di vista del ginecologo, dell’urologo e del fisiatra, ma il punto di vista del professionista che ha a cuore il benessere della donna. Nel XVIII secolo uno dei più grandi spiriti liberi nella storia del genere umano, W. A. Mozart, disse: “Viviamo in questo mondo per imparare e per illuminarci l’un l’altro”. Se un genio irraggiungibile come lui aveva l’umiltà e la capacità di capire la fondamentale importanza del reciproco scambio di ricchezze, di sensazioni, di conoscenze e di intuizioni, allora tutti noi, professionisti diversi che ci occupiamo di uroginecologia, non possiamo nasconderci dietro i personalismi o le lotte di casta.

Dobbiamo invece imparare a illuminarci a vicenda per il bene della donna che si sta affidando a noi. Questo è anche lo spirito che anima da sempre la SIUD, società multidisciplinare per eccellenza nella gestione delle patologie del pavimento pelvico.